La vita e la carriera

Le teste di Modigliani

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Tra falso e realtà. Si possono raccontare due storie riguardo alle teste di Modigliani: la prima che dà credito alla leggenda delle teste gettate nei fossi e che probabilmente tutti sanno com’è andata a finire; la seconda che è emersa solo negli anni ’90 e che ha portato sulla scena altre tre teste, questa volta vere.

Nel 1984 a Livorno si celebra il centenario della nascita di Amedeo Modigliani con una mostra. Con l’occasione riprende vigore la leggenda delle teste gettate dall’artista nei fossi di Livorno, per disfarsene. La direttrice del Museo Progressivo di Arte Contemporanea di Livorno, Vera Durbè, sostiene la veridicità della vicenda e ottiene il supporto del Comune per dare il via ad un’operazione di dragaggio dei fossi nel tentativo di ritrovare le teste perdute.
I primi giorni di ricerca non portano a niente ma poi, il 27 luglio 1984, vengono ripescate due teste in pietra, scolpite con tratti essenziali e netti. La notizia nel giro di pochissimo fa il giro del mondo, giornalisti e turisti accorrono a Livorno, si organizza una mostra e viene scritto un catalogo per presentare questo incredibile ritrovamento. Nomi illustri della critica d’arte italiana ritengono le teste ripescate opera di Modigliani
Jeanne Modigliani, la figlia dell’artista, non condivide il giudizio ma non farà in tempo a raggiungere Livorno, perché morirà cadendo dalle scale. Dello stesso parare è anche il collezionista Carlo Pepi, grande espero di Modigliani.
Il 5 agosto viene ritrovata un’altra testa e anch’essa viene giudicata opera dell’artista livornese.

L’entusiasmo però lascia spazio alla beffaTre studenti livornese dichiarano a Panorama di essere gli autori della seconda testa ritrovata e lo dimostrano, in diretta tv, riproducendo la testa con un trapano. Rimangono però le altre due, sicuramente autentiche. Anche in questo caso, però, emerge il vero autore: Angelo Froglia, un portuale aspirante artista, che aveva scolpito quelle teste con intento provocatorio nei confronti del sistema dell’arte e dei critici d’arte.
Dalla scoperta del secolo, alla beffa del secolo.

Nel 1991 furono presentate alla stampa altre tre teste
Le teste erano state conservate per molti anni da Piero Carboni, un carrozziere. Ma che cosa aveva in comune con Modigliani? Suo zio era Roberto Simoncini, Solicchio, ritratto nel quadro “Il Mendicante”, ed era a lui che Modigliani si era rivolto quando, partendo per Parigi, non poteva portare con sé le sculture che aveva realizzato nel 1909, nel suo atelier in Via Gherardi del Testa. Simoncini non sapeva il nome dell’artista ma conservò quelle cinque teste in cortile, come ricorda il nipote. Carboni era riuscito a trovarne solo tre, di cui una molto danneggiata, tra le macerie della casa dello zio dopo la guerra nel 1943. Da quel momento le aveva sempre conservate ma solo recentemente aveva compreso che potevano essere opera di Modigliani.

Di nuovo la notizia fece un grande scalpore ma, dopo la clamorosa beffa di sette anni prima, il mondo della critica d’arte si mantenne in silenzio. Si pronunciò a favore dell’autenticità solo Carlo Pepi, che non era caduto nella beffa dell’84, dopo aver avuto la possibilità di vedere dal vero una delle teste. Dello stesso parere anche due illustri esperti americani chiamati a pronunciarsi a riguardo. Si aggiunsero inoltre testimonianze di molte persone che avvaloravano la tesi di Carboni.
Le teste furono al centro di lunghe traversie legali, in un periodo in cui venne smascherata una vasta associazione a delinquere finalizzata alla contraffazione di opere d’arte (Operazione Modì). Ad oggi queste tre teste sono riconosciute come autentiche, ma non sono esposte pubblicamente.